Possono essere gli smart siti luoghi d’identità dell’uomo? Ormai i variegati approcci di sostenibilità, a volte contradditori, risultano insoddisfacenti nel governare la realtà costruita la quale evidenzia le profonde ferite lasciate dai comportamenti non virtuosi delle passate generazioni. 

 

Nano antenne, nuova frontiera del fotovoltaico
L’MIT ha allo studio una tecnologia capace di migliorare di 100 volte l’efficienza dei comuni
pannelli.
http://www.nanowerk.com


Idee progettuali

Processo

Il linguaggio sostenibile del mattone

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Complesso residenziale a Novi Ligure


di Valter Scelsi

Obiettivo primario della progettazione è stato produrre edifici dove si riesca a mantenere un ambiente interno climaticamente confortevole durante tutto l'anno limitando il ricorso ai sistemi attivi di riscaldamento o condizionamento che impegnano fonti non rinnovabili. Nel nostro caso, proprio lo studio delle tipologie tradizionali ha individuato in esse gli elementi utili a incrementare le caratteristiche passive degli edifici progettati. Nelle case la somma degli apporti passivi di calore dell'irraggiamento solare trasmessi dalle finestre e il calore generato internamente all'edificio da elettrodomestici e dagli occupanti stessi contribuiscono a compensare le perdite dell'involucro durante la stagione fredda. Nella stagione calda, invece, l'involucro di mattoni, il dimensionamento delle finestre e la efficace ventilazione (tutte le case hanno finestre sui lati opposti, nord-sud) garantiscono un clima ideale anche in assenza di impianti di raffrescamento.

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Queste prestazioni si sono ottenute con una progettazione attenta al risparmio energetico, in particolare nei riguardi del soleggiamento, con l'adozione di materiali isolanti nelle murature perimetrali e nel tetto, e con l'attenzione massima alla eliminazione di possibili ponti termici, dovuti a superfici passanti (davanzali), a disomogeneità termica di materiali a contatto tra loro, con conduttività termiche differenti (ad esempio, all’interno dei solai in latero–cemento o in corrispondenza dei pilastri di cemento armato), a disomogeneità geometrica, ovvero quando la superficie disperdente esterna e maggiore della superficie interna che riceve calore dall’interno (angoli di parete o incroci).  La casa in pratica mantiene da sola la temperatura confortevole al proprio interno. Il consumo totale di energie è sensibilmente inferiore a quello dei comuni appartamenti costruiti nella zona secondo criteri esclusivamente commerciali.
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La muratura a doppio strato, con isolante sintetico a celle chiuse in intercapedine e mattoni pieni faccia a vista, presenta valori di massa superficiale senza intonaco intorno ai 320 kg/m2, ovvero ampiamente superiori 230 kg/m2, limite indicato nel D.P.R. 59/09 con lo scopo di limitare i fabbisogni energetici per la climatizzazione estiva e di garantire un maggior comfort termico. Le coperture rivestire di elementi di alluminio fissati con sistema a incastro (Riverclak), prevedono l'inserimento, mediante gli stessi elementi non rivettati, di pannelli solari per la produzione di acqua calda. Allo scopo, la falda presenta gli opportuni orientamento, inclinazione e sviluppo. Anche la corona verde che circonda il complesso, ed è particolarmente sviluppata lungo gli affacci a sud, è stata pensata allo scopo di ridurre l'impatto del soleggiamento interno nelle stagioni estive. li edifici sfruttano una leggera pendenza del terreno, risultando sottomessi alla strada, allo scopo di ridurre notevolmente il proprio impatto visivo.
Il progetto si inserisce in un ampio intervento di rigenerazione edilizia attraverso un recupero di volumetrie a uso residenziale di un’area occupata dai capannoni di un vecchio stabilimento siderurgico dismesso, offrendo così un modello possibile di housing sostenibile a basso consumo.
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Scheda progetto
 
ll progetto ha previsto la costruzione di una lottizzazione di tipo lineare attestata su una via periferica, scarsamente interessata dal traffico veicolare e collocata al bordo di un parco storico, con previsione di sedici unità abitative, tutte dotate di giardino privato e di spazi aperti comuni.
Le sedici case, realizzate su tre livelli, sono riunite in tre distinti corpi e sono coperte da una tetto continuo a due falde. In questo modo l'intervento, pur essendo ascrivibile alla tipologia della schiera, si presenta formalmente come un compatto complesso di ispirazione agricola, tanto nel principio insediativo, riferito alle masse elementari delle molte cascine dell'Alessandrino, quanto nel materiale di finitura, un involucro omogeneo di mattoni paramano realizzati nelle tecniche e nel colore tradizionale delle fornaci piemontesi. La semplicità delle forme risponde alla necessità di tentare il recupero dell'identità di luoghi stravolti da mezzo secolo di dispersione edilizia che ha prodotto il consueto bizzarro repertorio periferico di tipologie residenziali.
progetto architettonico
 
Sp10studio a.a: Carlo Bagliani, Vittorio Caponetto, Antonio Norero,Valter Scelsi)
Collaboratori: Marta Oddone, Davide Perfetti, Martina Piccolo, Emanuela Caronti, Nicola Lunardi, Alberto Marcenaro, Alessandro Perotta, Raluca Mihaela Solomon, Andrea Spinetti
direzione lavori: Sp10studio a.a.
strutture: Federico Martignone
impianti: Stefano Spissu
committente:Termosider Immobiliare
dati dimensionali:
Dimensione lotto mq 2.400
Superficie edificata mq 600
Giardini e altre superfici private mq 650
Strade e altre parti comuni mq 1.143
Cubatura mc totali 3.585
Superficie abitabile mq totali 1014
tipologie edilizie
3 edifici (2 piani + 1 piano seminterrato) per 16 unità immobiliari
cronologia
2005/06 progetto
2006-2010 costruzione
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…Passaggio … nella terra

…Passaggio … nella terra

di Silvia Fiore


Questa ricerca nasce dall'amore per la Terra. E' innegabile il fascino che questo elemento ha suscitato da sempre sull'uomo, perchè portatore di molteplici significati. E' un elemento umile: dobbiamo chinarci per toccarla, ed è materia viva. Dalle Piramidi agli Ziggurat fino agli Stupa, l'uomo ha sempre cercato di edificare le proprie montagne sacre. La Terra è il materiale da costruzione più povero esistente, eppure è anche l'arte edilizia più antica che si conosca e conta settemila anni. Ancora oggi un terzo della popolazione mondiale vive in abitazioni costruite in questo modo. Queste costruzioni non sono circoscritte a un’area precisa del pianeta ma sono distribuite, proprio per la caratteristica principale della materia prima, e cioè il facile ed economico approvvigionamento della Terra, in tutto il mondo. Ci sono poi luoghi dove viene scavata assiduamente ogni giorno: si tratta dei cantieri archeologici, dove i ruderi vivono da millenni in perfetta simbiosi con questo elemento che si fa custode perenne, e madre protettrice. Ogni archeologo vive curando pazientemente la Terra per leggere tra le sue pieghe i significati perduti e ne ha profondo rispetto recuperando quell'attrazione innata che spesso noi uomini cittadini abbiamo dimenticato.

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Il lavoro della ricerca parte da un caso studio applicato a un piccolo sito archeologico, Artena, posto a 40 km a sud di Roma. La Civita di Artena non fa sicuramente parte dei grandi siti archeologici romani ed è dislocato fuori dai circuiti turistici. L’area fu abitata anticamente prima dai Volsci tra il quarto e il terzo secolo a.C., poi fu sede di una Civita romana tra il terzo e il secondo e infine, dopo un lungo periodo di abbandono durato oltre un secolo, ritrovò vita quando una villa di epoca imperiale fu costruita a partire dal primo secolo dopo Cristo. Il sito è stato interessato dagli anni sessanta da tre importanti campagne di scavo di cui l’ultima non ancora terminata. La prima è stata condotta dal professor Lorenzo Quilici a partire dal '67 sull’insediamento della Civita romana al termine del quale l’area rimase abbandonata a se stessa. Per questo motivo, vent’anni dopo, quando la seconda equipe archeologica, quella belga condotta dal prof. Gadeyne è intervenuta sul sito, l’ha trovato in condizioni davvero precarie. Ciò che era stato riportato alla luce precedentemente era completamente perduto, reintegrato nel panorama calcareo che caratterizza la piana. Gli scavi belgi, sono stati effettuati nella decade ‘79/'89 e hanno interessato principalmente quattro piccoli edifici volsci. In seguito l’area rimase ancora una volta abbandonata e la Civita dovette attendere fino al 2002, momento del terzo scavo compiuto dalla stessa scuola belga. Nel 2007 viene realizzato un progetto di musealizzazione della piana curato dallo studio “2tr architettura”, che si compone di un percorso pedonale ad anello arricchito da numerosi pannelli informativi che riportano la storia dell’insediamento e da un padiglione accoglienza e servizi. Nell’impossibilità di conservare le quattro strutture volscie lo studio opta per il reinterramento e la riproposizione del sedime delle strutture mediante blocchetti di travertino, battuto di ghiaia e grigliato in acciaio. Purtroppo oggi la piana della Civita grava in pessime condizioni e avrebbe bisogno di essere mantenuta, consolidata e soprattutto servita da un efficiente rete di strade d’accesso carrabili. Invece oggi la piana viene servita da una serie di vie spontanee sterrate, e da una strada asfaltata abusiva che corre entro le mura. Inoltre ogni giorno greggi di pecore sono portate a pascolare tranquillamente entro le mura e un appezzamento di terreno è occupato da un privato cittadino che ne dispone in tutta libertà. Dunque, la proposta del caso studio si colloca in un momento ex-ante al reinterramento degli scavi volsci e alla realizzazione del parco archeologico. L’esigenza di trovare un metodo secondo il quale si potessero mantenere aperte le strutture garantendone la conservazione e, possibilmente, evitando di snaturare il loro rapporto con la Terra. In secondo luogo si doveva pensare a un sistema protettivo per la villa, ancora in fase di scavo, oltre ad un metodo di riproposizione del sedime dell’antica cittadina romana ormai perduta.

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Prima di tutto però c’era il fondamentale bisogno di portare il traffico veicolare al di fuori della Civita e di collegare in modo opportuno questa zona con la vallata antistante. A riguardo, il tratto di strada posta all’interno dell’area archeologica è stata spostata fuori e sono state integrate alcune strade carrabili a supporto di all’unica esistente. Poi viene considerata la storia della Civita dall’antichità a oggi. Questa è caratterizzata da tre momenti storici importanti, scavati in tre fasi ben distinte e connotati da tre impianti. La scelta è stata quindi quella di trattare ogni momento con un carattere diverso perseguendo un diverso scopo. Emerge dalla ricerca la qualità e la durabilità nel tempo degli edificati in Terra cruda rispetto al recupero dei siti archeologici. Infatti ogni rovina archeologica è giunta sino a noi proprio in funzione di questo elemento che, semplicemente, si è posto sulle rovine come una coperta e ne ha fermato la storia, affinchè noi le riscoprissimo secoli dopo. La Terra ha nascosto le strutture proteggendole dalle spogliazioni di curiosi e di avidi cercatori, infine ha mantenuto il microclima adatto alla conservazione di dipinti parietali e mosaici. E' quindi un rapporto unico ed esclusivo che non possiamo ignorare nella progettazione  e realizzazione di nuove strutture. Ultimo aspetto, ma non ultimo, la Terra è presente naturalmente sui siti; gli archeologi sterrano per trovare la pietra nascosta e quindi è anche un materiale altamente sostenibile che non necessita di costi aggiuntivi di acquisto, trasporto e smaltimento. La rigenerazione del sito è partita nel considerare questo luogo nel suo complesso passato storico; ma anche caratterizzato dalla presenza archeologica. Partendo dal concetto dello scavo; operazione mediante la quale si giunge in profondità, si torna ad un rapporto con ciò che sta sotto di noi, dentro di noi, nelle viscere della Terra. C’è in questo semplice gesto tutta la curiosità infantile della scoperta e del gioco, la dimensione della sorpresa e della caccia al tesoro nascosto. Ma quando scaviamo fisicamente capiamo che in realtà scaviamo soprattutto dentro noi stessi per liberare ciò che siamo e riportarlo alla luce. Di questo il progetto di recupero tiene conto e in un continuo gioco di dentro-fuori, sotto-sopra, coperto-scoperto si muove e trova pienezza. Sulla Civita c’è un viaggio da scoprire. Si parte oltrepassando la porta scea di ingresso, antico accesso alla città e si ascende su per il cardo rigidamente tracciato dai costruttori romani. In quest’area si è tenuto conto della configurazione antica e si è ripristinato lo stato dei luoghi, aiutandosi con i disegni pubblicati da Lorenzo Quilici, l’antico sedime del cardo e del decumano con le imponenti terrazze scenografiche poste lungo il loro incrocio. Questo viene fatto rialzando il piano di calpestio di un metro circa e ricostruendo le terrazze mediante la tecnica del mattone adobe di terra-paglia essiccato al sole. Operazione compiuta per dare un significato al tracciato urbanistico antico, ora sparito ma sempre impresso sul luogo. A fianco di questo imponente lavoro di riporto e rialzo se ne allinea uno totalmente in sterro e trincea. Giunti all’incrocio tra i due principali assi viari, nel cuore della Civita, all’asse nord-sud se ne immorsa un altro, ruotato di circa quarantacinque gradi con andamento nord-ovest. Questo asse è posto totalmente in trincea e collega due scavi volsci. All’incrocio degli assi è posta una piazza sterrata di forma quadrata ruotata secondo il nuovo asse avente la funzione di sospendere il camminatore dal mondo per accompagnarlo lungo le viscere della Terra. Qui la scelta. Chi cammina può proseguire lungo il tracciato rigido del cardo e arrivare facilmente all’imponente copertura della villa che svetta sulla terrazza del foro oppure deviare e immergersi nella sua Terra. Per farlo però dovrà prima rischiare compiendo qualche passo fuori dalla strada battuta e sicura. Se questo rischio accetterà andrà ben oltre la vista superficiale della villa ma vi entrerà dentro e dimorerà al suo interno. Il primo tracciato accompagna alla villa e vi fa giungere il camminatore, rapido e sicuro, ma non lo fa entrare. Non c’è entrata, non c’è premio per chi rimane in superficie. Incamminandosi lungo l’entrata nella Terra la strada si fa piano piano stretta e sempre più buia. Giunti in fondo il buio inghiotte ogni cosa e solo un buco nero si apre. Prima però colpi sordi aprono la strada e una piazza circolare e vibrante prepara l’entrata. All’interno la struttura appare una grotta rossa illuminata da un potente oculo centrale. Una passerella consente il passaggio sopra le rovine della struttura volscia. La costruzione è formata da una volta in mattoni strutturale che sostiene il peso della terra di riporto superiore che reintegra

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la costruzione con il paesaggio. Sotto, una struttura leggera in lamierino corten saldato a freddo e autoportante copre gli impianti tecnici situati tra le due strutture. Oltre, un nuovo spazio di risonanza accompagna l’uscita. Davanti al camminatore allora si apre una seconda trincea alla metà della quale si trasforma in un tunnel. Si prosegue oltre, non ci si può fermare. Si scende, si scende sempre più in profondità nella Terra. Una luce appare dapprima fioca e poi più intensa fino ad aprirsi in un camino di luce. Guardo su e vedo il cielo, guardo giù e scruto le profonde radici del mondo. Luce-buio in un attimo. Ciò che sta sopra sta anche sotto. Gli opposti che si compenetrano e generano qualcosa di Alto. Ci troviamo ora nel perno centrale del progetto, all’interno della collina dove il punto più alto della Civita è collegato a quello più basso. Tutta la composizione ruota attorno a questo elemento che si fa cardine, fulcro. Si aprono allora due porte: davanti si va a due strutture volscie coperte come la precedente. Ma poi bisogna necessariamente tornare indietro ed entrare all’interno della struttura di copertura della villa. Un’imponente volta in terra con un grande oculo centrale dalla forma organica rivela la meta da raggiungere, il premio degli avventurieri: questa struttura è una nascita, una rinascita. Attraverso le mille pieghe del terreno questa volta si schiude per rivelare un bellissimo fiore appena sbocciato. Qui avviene la mutazione del viaggiatore perchè la nascita è prima di tutto interiore e la struttura si schiude per offrirsi al mondo. Come tre sono i periodi storici, tre le fasi di scavo, tre le porte cittadine e tre le terrazze digradanti della Civita, cosè la composizione di percorsi e coperture è generata da tre cerniere e tre assi principali. Il primo asse corre dalla porta scea su per tutto il cardo fino all’incrocio con il grande terrazzamento del foro e definisce il percorso in elevato. Il secondo è quello con orientamento nord-ovest e definisce il tracciato in trincea che collega i primi due scavi volsci. L’asse tra la villa e la prima cerniera è il terzo ed è posto come bisettrice dell’angolo formato dai precedenti. Riguardo ai perni, il primo lega il secondo scavo volscio, la trincea che porta alla villa, il pozzo centrale e la terza e la quarta struttura volscia. Il perno successivo genera il secondo rudere volscio, la villa e il terzo e quarto edificio volscio. Infine un terzo perno immorsa il tunnel della villa, la villa stessa e il pozzo centrale. L’elemento Terra non solo è materia, ma è anche materiale capace di restituire una forma architettonica armoniosa tra il luogo e l’opera edilizia dell’uomo. Tale approccio consente attraverso un percorso processuale coerente di implementare i parametri qualitativi del recupero ecosostenibile del territorio.
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Il lavoro della ricerca presenta una parte strettamente di laboratorio svolta nei locali del LabMac della facoltà di architettura di Genova, e avente per oggetto la realizzazione di un arco in cilindri cavi di Terra cruda e paglia rappresentante una delle coperture degli scavi volsci e costruito in scala 1:10. Si voleva testare la riuscita del sistema costruttivo e la resistenza della struttura mediante prove di carico. La fase di sperimentazione ha visto protagoniste, oltre la scrivente, anche due volenterose studentesse di architettura: Sara Eriche e Cristina Minetto senza il cui prezioso aiuto sarebbe stato impossibile costruire l'arco. Il lavoro è stato altresì coordinato dal prof. arch. Massimo Corradi. L'arco costruito è una catenaria, una particolare curva piana (dall'aspetto simile alla parabola), il cui andamento è quello caratteristico di una fune omogenea, flessibile e non estendibile, con gli estremi vincolati e lasciata a perdere, soggetta soltanto al peso proprio. La forma della catenaria, presenta il vantaggio di distribuire perfettamente gli sforzi di compressione e di ridurre al minimo quelli di trazione. E' la forma dell'arco che più frequentemente ricorre in natura. La realizzazione delle strutture in Terra cruda del progetto sono state ipotizzate secondo diversi metodi costruttivi. Seguendo il classico metodo della volta nubiana in mattoni adobe, in cui la nubiana, una particolare volta autoportante che viene costuita senza l'utilizzo di centine lignee di sostegno. Viene innalzata a partire dal mattone adobe, di forma parallelepipeda (24x15x5cm) realizzato impastando argilla, sabbia e paglia, utilizzato sin dall'antichità in ogni parte del mondo. Ogni mattone viene prodotto a mano, poi lasciato essiccare al sole e messo in opera tramite malta in terra. Secondo la tecnica delle volte in sacchetti di Terra ideate dall'architetto iraniano Nader Khalili. Questa è sembrata particolarmente azzeccata dal momento che il sacco in cotone è già naturalmente presente sul cantiere archeologico perchè utilizzato per le operazioni di setacciatura. Si vuole adoperare il sacchetto come mattone base per costruire le volte nubiane. La terra può essere addizionata con stabilizzatori come cemento, calce o emulsione di asfalto. Infine secondo una tecnica, quella appunto sperimentata in laboratorio, costituita da una curva di cilindri cavi a sezione costante di terra-paglia, tangenti tra loro, non stabilizzati e annegati in un rivestimento in terra e letame. All'interno è poi racchiusa una doppia rete ortogonale in raffia intrecciata avente il compito di assorbire gli sforzi di trazione. Ogni metodo costruttivo presenta un trattamento superficiale dell'intonaco di rivestimento con gasolio a trazione necessario all'impermeabilizzazione.
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La parte in laboratorio è iniziata dal progetto degli stampi per la creazione dei cilindri cavi. Questi vengono costruiti a partire da pezzi di scarto derivanti da materiali di cantiere come tubi innocenti e puntelli. Ogni stampo è composto da un'anima avvitata su una base in acciaio a cui vengono affiancate due pareti laterali, bullonate e fermate da ritegni sulla base, che formano il vuoto del cilindro in cui inserire la Terra. Nei primi giorni c’è stato il tracciamento della curva catenaria di riferimento. Appesa la catena in posizione corretta sono stati agganciati i pesi (anch'essi in scala 1:10) simulanti i carichi dell'arco. La curva derivante dall'assestamento della catena rappresenta la nostra catenaria di progetto. Abbiamo quindi costruito una centina lignea a partire dalla curva esatta ribaltata. Partendo da un impasto di terra setacciata a maglia 2 mm (75 %), acqua (20 %), calce (5 %) e paglia triturata (3 pugni), man mano che i tentativi andavano avanti, è stato abolito l'uso della calce che dava problemi di adesione alle pareti degli stampi. Dopo molte prove, in cui è stato variato sia la quantità di calce, la grana della Terra, l'aggiunta o meno di argilla, la quantità d'acqua e di paglia, l'impasto più idoneo è risultato essere un semplice misto di Terra setacciata a maglia 5 mm (75 %), acqua (25 %) e 3 pugni di paglia. Molti tentativi sono stati poi condotti sul trattamento degli stampi per evitare l'adesione dell'impasto. E’ stato provato l'olio di colza, il burro, il sapone di marsiglia, il grasso per motori, il rivestimento in nylon e carta da forno, ma siamo giunti a considerare la vaselina come il trattamento più riuscito. I pezzi prodotti variavano da un minimo di 10 al giorno ad un massimo di 20 e sono stati prodotti in totale 85 cilindri. Una volta preparato l'impasto si è deciso di procedere formando dei rotoli del diametro di 1 cm circa e di lunghezza pari alla circonferenza dell'anima, che inserivamo nello stampo e battevamo con un pestello (un tubo in pvc) per strati orizzontali. Ogni pezzo essiccava mediamente in meno di una settimana. E’ stata inserita una rete ortogonale di raffia intrecciata annegata nel primo strato ai cui nodi abbiamo legato dei fili dello stesso materiale per formare una gabbia con la rete di estradosso. Con il procedere dell'asciugatura, l'arco si è lesionato in vari punti, non trovando lo spazio necessario al ritiro (circa del 10%). Abbiamo quindi provveduto alle riparazioni necessarie con un impasto in terra molto liquido. Curioso notare, dopo venti giorni, che l'appoggio sinistro si è comportato staticamente come un incastro (...), mentre il destro come vincolo semplice (....) per cui capace di muoversi orizzontalmente come un pattino. Notando i punti di rottura e lo strappamento della raffia (alternativamente sopra e sotto), è stato semplice tirare le somme di quello che è successo. Dopo lo slittamento dell'appoggio si sono formate 4 cerniere interne all'arco dovute al troppo esiguo peso dell'appoggio e allo scarso attrito posto dal piano del tavolo su cui era poggiato.

Tecnologia

LE FORME DELL’ARGILLA, tra innovazione e tradizione
di Marco Cuomo

L’argilla è tra le materie della terra che da sempre ha consentito all’uomo di costruire fino dall’inizio della sua storia il suo spazio abitativo. In particola i prodotti che derivano dall’argilla quali il mattone e la ceramica costituiscono, già nella tradizione costruttiva trasmessaci da Vitruvio ad oggi, un interessante esempio di conoscenza tecnologica. Infatti, oggi le metodiche produttive attraverso l’impiego e l’uso dei sopraddetti prodotti hanno introdotto innovazioni sia nel processo edilizio e sia nelle tecniche costruttive.
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Il mattone leggero

La materia base per la fabbricazione del mattone è l'argilla, un materiale diffusissimo in natura, che deriva dall'alterazione dei feldspati i quali sotto l'azione dell'acqua e dell'anidride carbonica favoriscono una reazione di caolinizzazione. L'argilla è quindi fondamentalmente costituita da caolino, a cui si associano in quantità variabile, altre sostanze caratterizzanti, che sono già presenti nel terreno come silice, carbonato di calcio, ossidi di ferro e altri vari e meno rilevanti.
Negli ultimi decenni a seguito di una forte spinta evolutiva nell’ambito della ricerca di tecnologie innovative uno studioso svedese ing. Sven Fernhof ha brevettato una metodologia avanzata, che realizza un laterizio alleggerito, capace di creare elementi di grandi dimensioni. Questo prodotto ha completamente rivoluzionato le modalità di utilizzo del mattone tradizionale. Infatti introduce metodiche e tecniche edilizie fortemente innovate nelle modalità processuali, infine l’impiego di questo prodotto ha riscritto i costi di produzione e i valori dei parametri prestazionali.
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La proprietà tecnica dell'argilla alleggerita si ottiene attraverso un processo al quanto semplice; all'impasto crudo si addiziona una determinata quantità di polistirolo appositamente espanso in forma di piccole sfere di diametro uno e due millimetri; il processo di cottura brucia il polistirolo annegato, scindendolo in anidride carbonica e acqua, così da creare dei vacui a forma sferica, privi d'aria e di qualsiasi deposito carbonico, tra loro non comunicanti e conseguentemente formando un laterizio di sola argilla, ma allo stesso tempo fortemente alleggerito grazie alla struttura alveolare ottenuta. L'impiego operativo del Poroton è al quanto semplice non richiedendo nessun tipo di mano d'opera specializzata e grazie alle dimensioni dei blocchi, la velocità di messa in opera è assai più rapida del tradizionale laterizio con un consistente risparmio di malta. Inoltre l'orientamento verticale della foratura, la fitta trama di microfori, la rugosità della superficie costituiscono molti vantaggi, dai quali: consentire una perfetta sigillatura dei giunti verticale, costituire un migliore legame tra corso e corso per facilitare la posa dell'intonaco. La muratura formata da mattoni Poroton può essere rivestita da intonaco tradizionale così da mantenere una buona traspirabilità. risulta in proposito, consigliato l'impiego di malta bastarda per migliorare l'aderenza della stessa sulla superficie a rivestimento. La proprietà autoportante del Poroton è ottima, perché è possibile realizzare dei corpi di fabbrica con sviluppo in altezza di circa quindici metri, rispettando allo stesso tempo tutti i requisiti tecnici richiesti dal D.M. del 24/01/1986 per gli edifici collocati in zona sismica, il comportamento igrotermico è soddisfacente come lo sono d'altronde nella normalità tutte le pareti in laterizio: conseguentemente non sussiste un pericolo di fenomeni di condensa, nè superficiale, nè all'interno della muratura, così da contribuire al mantenimento di una buona condizione bioclimatica dello spazio abitativo. Il comportamento termico non si riferisce solo al coefficiente di trasmittanza termica, indiscutibilmente ottimo rispetto ai parametri della normativa energetica, ma può variare a seconda delle tipologie di impiego del materiale: infatti la resistenza termica del Poroton nella parete di tamponamento ottimizza la prestazione di efficienza energetica, in quanto elimina le criticità dei pilastri in c.a. che normalmente favoriscono il disperdimento termico attraverso i ponti termici. Infine le qualità fonoassorbenti del sistema alveolare permettono di garantire un comportamento acustico efficiente e pienamente soddisfacente nel garantire il fonoisolamento ambientale tra spazio interno ed esterno. Dunque, l'impiego costruttivo di un prodotto in laterizio alleggerito fornisce un alto livello prestazionale alle chiusure verticali, consentendo così di raggiungere un’alta qualità abitativa basata su valori di massimo comfort e benessere.
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La ceramica

La ceramica è nota, come industria fittile, fin dal Neolitico; vasi e stoviglie venivano confezionati con argilla naturale o mescolata con uno smagrente (sabbia o calcite) o con l'aggiunta più tardi di chamotte, ossia frammenti macinati di ceramica già cotta. Vasi, tazze, otri, si preparavano col sistema a cercine cui fece seguito, sempre nel periodo preistorico, l'introduzione del tornio e la successiva tecnica del collaggio: una sospensione molto fluida d'argilla detta borbottina, che veniva versata in uno stampo di gesso asciutto e poroso, che successivamente capovolto, eliminava l'eccesso di argilla ancora fluida fino a fare ottenere così il manufatto finale.
Guardando ad una storia più recente si rileva l'introduzione di diverse metodologie di produzione, tra cui, le maioliche, le terraglie tenere e forti, il cotto forte (grès e klinker), le porcellane. Tralasciando l'impiego dei prodotti ceramici ad uso domestico, l'attenzione sarà posta all'utilizzo della ceramica quale prodotto a scopo edilizio (pavimenti, rivestimenti interni ed esterni) evidenziandone le qualità tecnologico-prestazionali e le proprietà di carattere ecologico sia nella lavorazione che nella compatibilità ambientale. Le ceramiche industriali sono ricavate direttamente dalle materie prime che possono essere usate al naturale evitando la preparazione di miscele di natura chimica, e per ciò l'impasto argilloso é sottoposto ad un azione meccanica di pressione e di trafilatura. Specificatamene il grès e il klinker possono essere lasciati al naturale senza verniciatura protettiva in quanto la bassa porosità della superficie li protegge da attacchi fisico-naturali; al contrario la verniciatura é obbligatoria per la maiolica e la terraglia le quali vanno verniciate con smalti pigmentati da colori a base di pigmenti naturali.
L'elemento ceramico più impiegato nella costruzione edilizia è la piastrella; la sua produzione va a sfruttare una risorsa di tipo naturale quale l'argilla che viene estratta da scavi collinari e montagnosi quasi sempre vicini all'area industriale dove si ha la lavorazione della materia prima. Lo scavo è di facile organizzazione in quanto avviene a cielo aperto senza esplosivo e con la graduale asportazione degli strati materici a mezzo degli escavatori e delle ruspe; dalle cave l'argilla, ad essiccazione solare avvenuta, viene trasportata in zolle e successivamente macinata, per lo più, a secco; Infine è necessario il trasferimento del materiale in silos attraverso vagli che arrestano i frammenti grossolani sfuggiti alla macinazione. L'essiccamento si svolge in locali riscaldati e ventilati nei quali il materiale è pressato affinché perda l'acqua ancora presente senza deformarsi e sgretolarsi; la tipologia di essiccatoio più usato è quello in controcorrente, ossia la corrente d'aria calda ed asciutta entra dalla parte terminale dell'essiccatore laddove escono le piastrelle, le quali così essiccate vengono introdotte in forni a tunnel per la prima cottura che produrrà il biscotto. Per determinare la capacità tecnico-meccanica delle varie ceramiche si dovrà guardare sia ai componenti mineralogici che alle modalità di cottura. Il grès impiegato nelle pavimentazioni per la sua forte resistenza meccanica è sottoposto ad una cottura più elevata tra 1000 e 1100 C° ed è costituito da argille autogreificanti in quanto ricche di ossidi di ferro (argille multicolori sono molto diffuse nell'appennino italiano), inoltre le alte temperature danno origine a superfici vetrificate che creano un velo impermeabile. E' interessante per le sue qualità commerciali il grès in monocottura, frutto di una miscela a base di sabbia (scheletro sabbioso) che alza il grado di greificazione. La temperatura di cottura è tra 1100 e 1150 C° e la smaltatura a crudo che è successivamente fatta da forni diversi da quelli utilizzati per la ricottura, mantiene alta la permeabilità della piastrella. La monocottura così fatta resiste bene anche agli sbalzi climatici (gelo) e per questo è ampiamente utilizzata negli esterni sia a pavimentazione che in strutture verticali non portanti. Materiale recente è il klinker, che si sta diffondendo assai rapidamente, ottenuto da materie prime naturali preparate con impasti di argille comuni o pregiate, può raggiungere (nella cottura tra 1050 e 1250 C°) uno stato molto vicino alla vetrificazione data l'alta qualità della materia prima, le piastrelle di klinker hanno ottima resistenza agli attacchi chimici e fisici, rendendo possibile una smaltatura della superficie esposta; inoltre la presenza della coda di rondine (ovvero una particolare sagomatura di spessore variabile posto sul retro della lastra) consente di migliorare il tipo di ancoraggio al sottofondo (tanto che in questo caso l'impiego più idoneo è esterno con pavé e rivestimenti verticali).
Dunque, l’auspicio è che l’uso dell'argilla quale materia ecologica di base possa aprire ulteriori scenari per la ricerca, al fine di consentire innovative trasformazioni tecnologiche capaci di dare delle risposte sempre più eco-sostenibili.
LE MURATURE, evoluzione di un modello tecnologico

LE MURATURE, evoluzione di un modello tecnologico

di Marco Cuomo

La struttura muraria nasce con l’esigenza primordiale dell’uomo di riparo e difesa; all’inizio i manufatti rudimentali e semplici erano costituiti dalla sovrapposizione di blocchi irregolari di pietra (disposti in prevalenza a secco e in alcuni casi cementati con il fango) o da strati di terra battuta irrigiditi da elementi lignei o da canne. È facile ipotizzare che tali semplici espressioni costruttive, si potessero ritrovare presso le variegate culture di tutti i popoli della terra già in tempi remoti. Sarà successivo lo sviluppo delle costruzioni murarie quali modelli caratterizzanti delle civiltà e dei popoli della terra; poiché differenti soluzione tecnologiche sono generate dalle differenti conoscenze delle popolazioni oltre a mutevoli fattori ambientali, condizioni climatiche e morfologie dei luoghi.
La muratura di un edificio nella tradizione costruttiva dell’ancien régime prevedeva una muratura portante concepita come struttura a tutti gli effetti tridimensionale e supportata in alcuni casi da singoli elementi resistenti (catene) collegati tra loro fino al livello di fondazione e dunque in grado di porre resistenza alle sollecitazioni di azioni sia verticali che orizzontali. Dunque, i muri portanti, così denominati dalla tradizione costruttiva, si caratterizzavano dal materiale e dalla lavorazione dello stesso, ovvero pietra da taglio, blocchi di pietra artificiale, laterizio, tipologie miste e successivamente calcestruzzi. L’epoca romana diede una prevalenza all’uso del laterizio in quanto l’esigenza di sopperire alla mancanza di materiale litico in diverse aree del mediterraneo portò alla fabbricazione del mattone in laterizio che divenne primo prodotto edilizio standardizzato. Questo acconsentì la diffusione di modelli tecnologici di diverse murature che potevano essere contestualizzati nelle differenti e variegate realtà territoriali. Il laterizio è di fatto il materiale principe ancora oggi nelle sperimentazioni di preparati (mattoni pieni, da paramento, forati, blocchi strutturali, blocchi di tamponamento, pezzi speciali) che consente di soddisfare l’intero processo edilizio, offrendo prestazioni essenziali quali l’isolamento acustico termico, la protezione dall’umidità, la resistenza al fuoco.
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Alla fine dell’ottocento e alla luce delle rivoluzionarie innovazioni che modificarono completamente l’approccio progettuale e costruttivo attraverso sistemi strutturali costituiti da nuovi materiali quali ferro e cemento, le murature persero la loro funzione portante per passare a quella di tamponamento e involucro. Il differente uso consentì una flessibilità maggiore capace di aprire nuovi scenari per la ricerca e l’impiego dei materiali.  Il contemporaneo uso delle murature (chiusure verticali UNI 8290) si basa non solo sulla tradizionale funzione portante come precedentemente detto, ma guarda a nuovi requisiti quali la leggerezza e la coibenza termo-acustica. Infatti le murature, oltre a soddisfare i requisiti da sempre caratterizzanti (solidità, resistenza, impermeabilità all’aria) debbono essere conformi ai nuovi requisiti introdotti dall’innovazione tecnologica, ovvero soddisfare le ormai primarie prestazioni di efficienza energetica e di fonoisolamento. L’introduzione da parte della normativa della scheda tecnica di prodotto permette di conoscere dettagliatamente le performances dei differenti materiali. Le murature si trasformano così, se necessario, in diaframmi energetici capaci rivedere l’uso, in alcuni casi l’abuso, del sistema impianto, consentendo perciò un ottimizzazione dei consumi e un conseguente abbattimento di emissioni di CO². Le murature del nuovo millennio (chiusure verticali), si possono identificare a pieno titolo nel concetto tracciato da G. Turchini di flessibilità, dove (…) la potenzialità intrinseca ad ogni produzione di adattarsi, di consentire scelte diverse in funzione degli specifici casi di progetto, di rendere possibili molteplici soluzioni tecnologiche attraverso lo stabilirsi di interfaccia variabili tra diversi componenti, nell’ottica della determinazione dei sistemi edilizi di volta in volta secondo le esigenze del singolo progetto (…) fornisce la risposta alle aspettative espresse. I modelli tecnologici futuri di murature introdurranno certamente sempre più materiali innovativi frutto di procedimenti sempre più complessi; ma capaci allo stesso tempo di semplificare la fase esecutiva attraverso una progettazione operativa evoluta e ingegnerizzata.